Otium e negotium

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immagine Articolo Scali SGli ultimi mesi del governo Meloni sono stati caratterizzati da dichiarazioni e prese di posizione che hanno fatto decisamente parlare di sé. Tra le numerose polemiche generate, dai dibattiti sugli sbarchi di migranti a quelli sull’importanza del 25 Aprile, a passare più in sordina è quella sull’istruzione. Sono infatti diverse le affermazioni della Premier che, da aprile a questa parte, hanno toccato un tema estremamente caro a noi studenti: la scuola superiore. 

Il filo conduttore che lega le comunicazioni del governo sull’argomento è basato su un fondo di populismo e utilocrazia. Le prime dichiarazioni di Giorgia Meloni risalgono allo scorso 3 aprile, quando ha incontrato a Verona una rappresentanza di un Istituto Agrario locale. Il Presidente del Consiglio ha esordito con un tentativo di capovolgere i luoghi comuni che considerano i Licei come superiori alle altre scuole: nel suo discorso, infatti, ha esaltato l’utilità pratica degli Istituti Tecnici e la loro ampia apertura a opportunità lavorative, definita di gran lunga superiore a quella dei Licei. Da qui, la stoccata nazionalista: “Per me è questo il liceo italiano, perché non c’è niente di più profondamente legato alla nostra cultura, di quello che questi ragazzi sono in grado di tramandare e portare avanti.”.

Il concetto di un “liceo italiano” viene nuovamente approfondito due settimane dopo, quando, dalla Fiera di Rho-Pero, Giorgia Meloni interviene nuovamente riguardo al futuro della scuola superiore in Italia. Già presente nella campagna elettorale estiva, la proposta portata avanti è quella di un “Liceo del Made in Italy”, il cui proposito verte sul “cercare di allineare il rapporto fra domanda e offerta di lavoro tramite una rivoluzione culturale sul ruolo del sapere artigiano misto all’innovazione”. Il disegno di legge, a quanto detto da Meloni, sarebbe in dirittura di arrivo. Il discorso anticipa infine che il programma del nuovo liceo presenterà approfondimenti di economia e gestione delle imprese italiane e dei modelli di business, con particolare riguardo alle industrie della moda e dell’alimentare. 

Questi concetti rappresentano una brusca virata rispetto alla direzione intrapresa nel 1993, quando, in virtù dei valori stabiliti dal Trattato di Maastricht, veniva introdotto in Italia il “nostro” Liceo Classico Europeo. Si tratta di una scuola sperimentale, improntata sull’incontro di cultura classica e europea, entrambe mai valorizzate nei discorsi del governo riguardo al futuro dell’istruzione liceale italiana. Eppure l’impatto del Liceo Classico Europeo è stato fondamentale: ha creato un insieme di studenti che, da tutta Italia, si interrogano sul proprio futuro, confrontandolo con l’antico e ponendolo oltre i confini del proprio Paese tramite l’apprendimento di lingue straniere e materie in lingua. 

Dall’11 al 13 Maggio 2023, per coincidenza pochi giorni dopo le divisive dichiarazioni sopra citate, alcune rappresentanze di questa gioventù “europea” si sono ritrovate al Convitto Foscarini di Venezia, in occasione del XXI Convegno dei Licei Classici Europei. Si è creato un ambiente estremamente ricco di idee, elaborate in singoli contesti scolastici e scambiate in occasione di un momento che le ha messe in connessione tra loro. Tra i principali temi trattati spiccano una proposta di studio della Storia in ottica globale, per comprendere meglio cause e conseguenze del mondo che ci circonda e evitare l’eccessiva frammentazione, e un confronto tra gli studenti riguardo all’identità europea e all’organizzazione dello stesso LCE. 

Sentire da lontano discorsi sempre più concreti che portano avanti un’idea che sminuisce la cultura liceale e europea, e, contemporaneamente, partecipare dal vivo alla valorizzazione di queste ultime a Venezia fa riflettere profondamente. Un forte conflitto dualistico contrappone la nostra identità di studenti e cittadini europei a ciò che i rappresentanti del nostro Stato trasmettono. La cultura del nostro Paese non dovrebbe mai essere ridotta a un esclusivo scopo di impiego lavorativo e di utilità pratica. Ridursi a questo, sarebbe come rifiutare l’idea che per conoscere se stessi sia sufficiente trovare un buon lavoro e stare con i piedi al caldo.

Sebastiano Scali

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