Perché ancora Umberto I?

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Foto copertinaIn che scuola vai? All’Umberto I.

Quante volte abbiamo ripetuto il suo nome senza conoscere davvero a fondo questa figura? Eppure, ci siamo mai interrogati sul perché il nostro istituto fosse intitolato proprio a lui?

Il secondo re d’Italia, figlio di Vittorio Emanuele II e marito della famosa regina Margherita, nasce e muore negli stessi anni del grande filosofo F. Nietzsche (1844-1900). Fin da molto giovane riceve una severa educazione militare: a soli quattordici anni è capitano di fanteria, a venti tenente generale e due anni dopo partecipa alla terza guerra d’indipendenza. Distintosi per il proprio coraggio nello scontro di Villafranca, viene ricompensato con la medaglia d’oro al valor militare. Molto presto acquista l’appellativo di re buono.  

Sposata a ventiquattro anni la duchessa Margherita, guadagna in sua compagnia la simpatia della popolazione visitando alcune delle maggiori città italiane – tra cui Napoli, dove nasce loro figlio Vittorio Emanuele III. 

Il suo regno affronta la crisi di fine secolo: un periodo di forti tensioni politiche interne, di finanze incerte e di relazioni internazionali difficili. Umberto I tenta allora di rafforzare l’unità nazionale della neonata Italia recandosi a soccorrere e confortare la cittadinanza veneta, colpita dall’inondazione del 1882, o i cittadini di Casamicciola, distrutta da un terremoto l’anno successivo, o i cuneesi e i napoletani colpiti dal colera nel 1884. Al tempo stesso, intesse buone relazioni con le principali potenze europee, visitando Pietroburgo, Vienna, Berlino e Dresda e modernizzando l’esercito. Inoltre, nel tentativo di disinnescare la crescita dei movimenti operai e contadini, durante il suo regno viene soppressa la pena di morte, concessa una limitata libertà di sciopero e, appoggiando la linea di Crispi, nel 1882 viene siglata la Triplice Alleanza con Germania e Austria. Nel discorso di giuramento alla Camera che, nel 1878, dà inizio al suo regno, Umberto I afferma: (…) io non ambisco che meritare questa lode: ‘egli fu degno del padre’ . Ricercando la fama conosciuta da Vittorio Emanuele II, infatti, appoggia e sostiene l’espansione coloniale nel Corno d’Africa, assistendo prima alla conquista dell’Eritrea (1885) e della Somalia (1889) e poi alla sconfitta di Adua in Etiopia (1896).

In parallelo a scelte politiche che spesso rispondevano a esigenze propagandistiche, il suo regno è però caratterizzato anche dall’appoggio a una politica governativa sempre più autoritaria, che gli vale ben presto un altro appellativo: quello di re mitraglia.

Di fronte al rafforzarsi, proprio in quegli anni, dei movimenti operai e contadini con l’entrata in Parlamento dei rappresentanti dei lavoratori, la reazione del monarca è infatti caratterizzata da un atteggiamento autocratico. Ne sono la chiara dimostrazione l’appoggio a governi autoritari, come quello di di Rudinì e Pelloux, che mettono in atto la dissoluzione delle Leghe Operaie, delle Camere del Lavoro e del Partito Socialista, fondato da pochi anni, limitando anche la libertà d’espressione, di sciopero e di stampa; oppure la repressione sanguinaria della rivolta dei Fasci Siciliani (1884), dell’insurrezione della Lunigiana (1884) e dei moti di Milano (1898), con la proclamazione dello stato d’assedio. In particolare, per reprimere i moti che sconvolgono Milano tra il 7 e il 10 maggio 1898 il generale Bava Beccaris apre il fuoco dei cannoni sui cittadini in protesta per l’aumento del prezzo della farina, provocando un massacro: centinaia di morti e feriti. Quando Umberto I decide di rendergli omaggio assegnandogli la Croce di grande ufficiale dell’ordine militare di Savoia, firma inconsapevolmente la sua condanna a morte: è a causa di questa sua decisione che il 27 luglio 1900 a Monza Gaetano Bresci, un anarchico italiano residente a Patterson, in America, spinto dalla vendetta per le vittime di Milano, commette il regicidio. 

Re buono, re mitraglia. Che rapporto possiamo avere noi studenti, oggi, con la figura di Umberto I?

Il particolare periodo storico incerto e contrastato in cui siamo immersi sembra esortarci a rileggere i princìpi fondamentali della nostra nazione. È la Costituzione a riassumerli: la solidarietà e l’uguaglianza sono i valori che organizzano un’amministrazione bilanciata, tutelata dal potere popolare per mantenere l’equilibrio tra ideologie differenti. Si tratta di un documento tuttora all’avanguardia, riconosciuto e rispettato anche all’estero come frutto del lavoro dei rappresentanti di tutte le forze politiche della Costituente, democraticamente eletti, e non di una concessione monarchica, come lo Statuto Albertino. 

La nostra scuola, pubblica e statale, si fonda sui principi costituzionali e, quindi, anche sul ripudio della guerra come strumento d’offesa e tantomeno di espansione territoriale a danno di altri popoli, sulla pacifica coesistenza di diverse opinioni politiche, sulla libertà di espressione del singolo e sulla condanna di ogni repressione violenta dei dissensi.
Valori in linea, peraltro, con il motto unity in diversity dell’Unione Europea. Non a caso, infatti, gli indirizzi liceali che oggi caratterizzano la nostra scuola sono stati inaugurati dopo il Trattato di Maastricht del 1992 con il Classico Europeo, sperimentazione delle direttive europee sull’insegnamento.
Grazie a questi ampliamenti di orizzonti, la nostra scuola si inserisce, quindi, in un contesto moderno di  convivenza pacifica data dalla tutela e dal rispetto delle minoranze. Un contesto che, probabilmente, non trova il suo miglior rappresentante nella figura di Umberto I.

Mara Matheoud, Cesare Sereni

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