You can shoot but you can’t drink a shot

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222In una scuola normale si fanno le prove d’evacuazione per incendi, terremoti o cose di questo genere. Gli studenti vengono tendenzialmente sospesi o espulsi per aver buttato qualcosa dalla finestra, per aver fumato nei bagni, per aver copiato durante un test o per essersi rivolti in modo poco appropriato ad un professore. Negli Stati Uniti, invece, nel 2019 le scuole sono preparate e organizzate in modo da prevenire possibili sparatorie. Ebbene sì: in America i liceali potrebbero avere delle pistole e, come si è visto e sentito anche ultimamente, alcuni non hanno paura di usarle. Appena una settimana fa ci sono stati un morto e sette feriti in una scuola alla STEM School di Denver, a 8 km dalla scuola superiore Columbine in cui vent’anni fa avvenne una delle stragi più grandi delle scuole degli Stati Uniti. Stesso scenario: due studenti, uno maggiorenne dall’aspetto angelico e uno ancora minorenne, hanno deciso che quella mattina avrebbero dovuto rovinare le vite di 1850 ragazzi dai 3 ai 18 anni. Secondo la ong Gun Violence Archive dal 2012, dopo la sparatoria alla scuola elementare Sandy Hooks, sono stati registrati ben 273 attacchi con armi da fuoco a scuola. Tra gennaio e febbraio 2018 si erano già verificate 18 sparatorie scolastiche e nei primi 45 giorni dell’anno 22 persone erano state uccise. L’ong statunitense Everytown for gun safety definisce «sparatoria scolastica» qualsiasi situazione in cui un’arma fa fuoco, anche accidentalmente, spara in una scuola, in un campus o in un’area di proprietà dell’istituto. Negli Stati Uniti le scuole devono prendere precauzioni perché c’è il rischio che uno studente si aggiri con una pistola nello zaino: decine di addetti alla sicurezza affiancati da uno o più poliziotti camminano per il campus per assicurarsi che tutto vada come deve andare. Poco dopo la strage di Denver, nell’Oceanside High School, che conta 2200 studenti, un ragazzo del secondo anno si è recato negli uffici segnalando che qualcuno voleva sparare quella stessa mattina. Alcuni studenti allarmati sono usciti da scuola, altri inconsapevoli di quello che stava succedendo hanno tranquillamente continuato le lezioni. Il passaparola è andato avanti anche i giorni seguenti e questa voce, che nessuno vorrebbe sentire arrivare, arrivava sempre a più studenti. Dopo controlli, ricerche e domande si è scoperto che qualcuno si è divertito a diffondere un timore non necessario. Alcuni professori e studenti non erano minimamente preoccupati, come se fosse una cosa da tutti i giorni.

Da exchange student quale sono, sentirmi dire da qualcuno che c’era anche solo la vaga possibilità di vivere una sparatoria in diretta mi ha messo l’ansia dal primo secondo in cui ho messo piede in classe la mattina, ma sembrava fossi una dei pochi: gli altri “sapevano” che non c’era da essere spaventati. Forse è quasi un’abitudine stare così a stretto contatto con questa realtà o forse non la si vuole affrontare. I teenager vanno al poligono a sparare o nei campi a provare le pistole con i propri genitori da sempre, a 18 anni possono comprarsi il loro fucile, ma per bere una birra devono aspettare fino ai 21. Sono maturi per i proiettili, ma non abbastanza per un bicchiere di vino.

Chiara Amberti, corrispondente dagli Stati Uniti

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