C’era una volta Torino, su una cartolina in bianco e nero che ritraeva la Mole Antonelliana o qualche stradina del centro. C’era una volta Torino, che al di là del bianco e nero della fotografia, era bianca e nera di suo. Una Torino di speranze industriali, di fabbriche, di grissini. Una Torino di Gianduiotti e automobili Fiat, di donne in bicicletta e di passeggiate lungo il Po.
Nella sua piccola cerchia di colline è rimasta nascosta per anni, nel suo quieto e romanticissimo grigiore. E poi è sbocciata. In silenzio, inaspettatamente, forse lentamente è diventata un arcobaleno, svelando quella parte celata di storia che era rimasta coperta dalla fama di “città industriale”.
Come perle sono emersi Palazzo Madama, il Borgo Medievale, Palazzo Carignano, Palazzo Reale. Le piazze, da sempre attraversate da cittadini complici silenziosi della loro bellezza, hanno mostrato il loro volto. E la gente è affluita, come un fiume in piena da ogni dove, non sempre per motivi culturali, certo, ma pur sempre in cerca di qualcosa di nuovo: un paesaggio, un lavoro, una vita.
Torino ha lasciato , come era giusto che succedesse prima o dopo, il suo grigio antico e si è colorata di nuove culture, di nuove attività, di iniziative. Ha dato il suo nome a persone di tutte le etnie, perché chiunque ami questa città, al di là delle questioni legali di residenza o meno, può dirsi torinese. Chiunque riesca a vivere i suoi ritmi, le sua atmosfere, i suoi tesori nascosti sotto gli occhi di tutti, è torinese.
Le nuove generazioni che popolano questo ecosistema di popoli differenti hanno di fronte una Torino pronta a cambiare, come ci ha dimostrato quattro anni fa’ durante le Olimpiadi e come ci sta dimostrando quest’anno, divenendo capitale europea dei giovani.
La Torino bianca e nera delle cartoline non è morta, è stata solo colorata. E nella sua pacata modesta timidezza si sta lentamente mostrando per quello che è al resto del mondo: un piccolo brillante circondato dai monti.
Eugenia Beccalli (3F)