La fine è il mio inizio: un approccio personale

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La bellezza dei libri consiste in quello che trasmettono, che comunicano attraverso l’inchiostro: frasi che influenzano il nostro modo di pensare, che arricchiscono la nostra cultura.

Penso che Tiziano Terzani, con il libro “La fine è il mio inizio”, abbia influenzato moltissime persone, sicuramente più di venticinque: mi riferisco alla seconda F e alla professoressa di italiano.

Nei rientri pomeridiani il libro è stato molte volte oggetto di discussione: esso è piaciuto; Terzani, raccontando la sua storia, ha colpito una classe di adolescenti rendendola partecipe di ciò che gli è successo.

“La fine è il mio inizio” è la copia scritta del dialogo tra Tiziano Terzani, grande giornalista italiano , e suo figlio Folco: Terzani, che sa di avere i giorni contati per una malattia ormai all’ultimo stadio, racconta la storia della sua vita fin nei minimi dettagli, narrando attraverso di essa i cambiamenti della società e il pensiero comunitario che esisteva allora. La testimonanza mi è piaciuta molto e mi ha colpito più volte in modo significativo, raccontandomi quello che non riesco a vedere per colpa della mia superficialità.

Non pensavo che il giornalismo fosse così fondamentale per il popolo: senza di esso i rappresentanti di stato potrebbero agire lasciando in disparte il “demos”. Terzani definisce il giornalismo come il “controllore” dei vari poteri dello stato: controlla se viene rispettato quello che viene viene detto. Perciò se si vuole che persista una funzionale democrazia si ha la necessità di giornalisti seri e autorevoli, che approfondiscano l’argomento sotto più punti di vista, evitando di scrivere un testo banale e superficiale.

L’unica parte che non condivido con Terzani è il capitolo ” Viaggio nel tempo”, nella quale “viene fuori” la questione sulla diversità. Sono consapevole che la globalizzazione stia diventando un problema, che la diversità stia scomparendo, ma penso che in alcuni casi sia un bene. Il patrimonio dell’uomo è la diversità, ma ciò non vuol dire stare ognuno nel proprio paese e non considerare nemmeno le idee altrui. Penso che alcune innovazioni, come farmaci e cure, dovrebbero essere diffuse in tutto il mondo, cancellando probabilmente un po’ di cultura ma salvando quella che noi chiamiamo vita. Se vivessi in una comunità isolata che segue la sua cultura da generazioni, e mi ammalassi di una semplice malattia, che per “la gente delle metropoli” può essere una sciocchezza ma che per la mia comunità può essere fatale, preferirei di gran lunga ottenere quel farmaco che seguire la tradizione e morire. La diversità è importante ma la sopravvivenza è la priorità. Il problema sta nelle voglia di espandersi delle aziende , che, vedendo che sono arrivati i farmaci, vogliono far arrivare anche le macchine da cucito, per esempio, e così via….La domanda che si pone anche Terzani è : e’ possibile che si possa rendere la vita della gente più igienica e sicura senza che si arrivi presto alla fabbrichetta dell’industriale di Hong Kong?”

Simone Ciranni (2F)

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