The game. Il gioco della vita

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rotta balcanicaPer la maggior parte delle persone si chiama rotta balcanica. Per i migranti invece è The Game, anche se non si tratta di un gioco. Anzi, è molto pericolosa. Il gioco consiste nell’attraversare i confini dei Paesi balcanici e arrivare nell’Unione Europea. Ma superare questi confini significa soprattutto tentare di evitare barriere di filo spinato, telecamere e polizia. E se non si riesce al primo tentativo, si riprova. Quella che passa per i Balcani è la più importante rotta migratoria verso l’UE, con numeri superiori a quella mediterranea. Ed effettivamente nel 2022, solo in Italia, a fronte dei 104.061 sbarchi, 93.241 persone sono arrivate via terra dai Balcani. Questo numero, tuttavia, rappresenta solo una minoranza di coloro che percorrono la rotta balcanica e che ha come destinazione finale l’Italia, poiché per la maggior parte di loro il vero scopo è arrivare nei Paesi scandinavi o comunque del Nord Europa.

La grandezza di questi numeri è spiegabile solo in parte con la meta dei migranti. In primo luogo, la rotta balcanica risulta essere la preferita a causa del minor rischio di morire durante il viaggio, sebbene richieda molto più tempo e molti più soldi. Mentre però con la rotta mediterranea una volta sbarcati si è destinazione, con il percorso attraverso i Balcani è necessario superare i confini di Grecia, Macedonia, Croazia, Bosnia, Serbia, Montenegro, Slovenia, Ungheria e Turchia, Paese da cui comincia il viaggio. E questi confini sono sempre più controllati e militarizzati.

Come se non bastasse, i migranti rischiano di rimanere bloccati per mesi, se non per anni, in campi profughi del tutto inadeguati alla situazione alla quale dovrebbero far fronte. I Paesi balcanici come la Bosnia, che sono molto fragili dal punto di vista umanitario e dell’assistenza, destinano questi campi in strutture come caserme e fabbriche abbandonate nelle quali si creano, a causa della mancanza di tutti i servizi minimi, condizioni di vita molto precarie. In molti campi profughi si sono verificate vere e proprie emergenze, come sull’isola greca di Lesbo, che aumentano non di poco il tempo che occorre per percorrere la rotta. Generalmente è molto complicato che un migrante impieghi meno di un anno per arrivare a destinazione, anche solo per il fatto che c’è la necessità di organizzarsi non appena si supera un confine, e l’organizzazione è molto costosa. In molti casi, già a Istanbul molti migranti non hanno più soldi, e di conseguenza devono aspettare che le famiglie ne mandino altri per continuare il “gioco”.

Il passaggio attraverso i confini avviene poi grazie all’aiuto di trafficanti che chiedono cifre molto alte senza dare però la certezza di superare la frontiera. A questo va aggiunta la brutalità con cui talvolta la polizia respinge i profughi, impedendo il passaggio anche con pestaggi e sequestri di beni personali. E a poco servono i burocrati di questi Paesi, la cui corruzione impedisce un’efficiente gestione dei flussi migratori. D’altronde è anche molto complicato che in Paesi fragili economicamente, sia data la priorità al problema delle migrazioni e che si attuino interventi mirati. Operazioni del genere richiedono risorse e scelte talvolta impopolari. Soprattutto gli Stati “di passaggio”, quelli come per esempio la Serbia o la Bosnia, si sentono meno obbligati ad aiutare dei migranti solo in transito, ma che può durare a volte mesi o anni.

Il fatto che si tratti in alcuni casi di Stati che aspirano ad entrare nell’UE, come la Turchia, può risultare strano ma sembrerebbe che si tratti di una strategia. L’Unione Europea ha sempre avuto l’intenzione di tenere gli hot spot fuori dai propri confini e i Paesi balcanici, trattenendo una quota di migranti entro le proprie frontiere, sperano così di vedersi facilitato l’ingresso, anche se raramente viene tenuto conto del rispetto dei diritti umani.

Jacopo Lupieri

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