Una difesa del Medioevo

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monaciTutti, almeno una volta nella vita, per criticare o stigmatizzare qualcosa di negativo abbiamo detto o sentito frasi come “Stiamo tornando al Medioevo”, oppure “ha proprio una mentalità medievale”. Questa tendenza, da tempo radicata nella nostra cultura e nel nostro linguaggio quotidiano, ha la spiacevole conseguenza di andare a bollare nei modi più dispregiativi un periodo della durata di ben dieci secoli. E più avanti vedremo come è nata questa visione distorta di un Medioevo fatto di ignoranza e di violenza.

Ma cominciamo dall’inizio. Con Medioevo si intende il periodo compreso tra il 476, anno della caduta dell’impero Romano d’Occidente, e il 1492, anno della scoperta dell’America. Un periodo dominato dall’autorità della Chiesa, dalla debolezza del potere centrale degli Stati e da eventi quali pestilenze, carestie e guerre. E solitamente è su questo che si sofferma l’immaginario collettivo. 

La colpa è in buona parte della cultura umanistica-rinascimentale, che iniziò a plasmare la percezione tuttora dominante del Medioevo. Fu un intellettuale vissuto alla metà del XV secolo, Flavio Biondo, a dare al periodo il nome Media Aetas, letteralmente “età di mezzo”. Già da qui si può intuire il pensiero degli umanisti riguardo il Medioevo: per loro questo periodo non era altro che un’età di passaggio, una parentesi distorta e negativa che separava lo splendore delle civiltà classica da quello della civiltà umanistico-rinascimentale. Una parentesi della durata di mille anni che, secondo gli intellettuali dell’epoca, aveva portato alla negazione dell’equilibrio classico. Le maggiori responsabilità erano individuate  nella dimensione religiosa del tempo. La vita era scandita dalla Chiesa e dalla sua liturgia. E questo, per una società che aveva iniziato a rifiutare l’idea di un Dio con in mano il destino umano per abbracciare la ragione e gli effimeri piaceri terreni, era inconcepibile. Un ruolo fondamentale nella costruzione (o meglio, nella distruzione) dell’immagine del Medioevo, lo ebbero anche gli intellettuali di fede protestante che, volendo andare contro al cattolicesimo, non esitarono a dare pareri negativi sul periodo di maggior trionfo e splendore del papato romano. Il colpo di grazia arrivò però più di due secoli dopo con gli illuministi che, nella loro esaltazione della ragione, bollarono definitivamente come “epoca buia” il Medioevo. Veniva così, in nome della ragione, preclusa la possibilità di studiare e scoprire un periodo in cui, nonostante tutto, proprio la ragione aveva trionfato, protetta e incentivata dalla Chiesa. Come scrisse la grande storica Régine Pernoud, il Medioevo sarebbe stata l’unica epoca di sottosviluppo in cui gli uomini riuscirono a costruire cattedrali che, con le loro guglie, sembravano (e sembrano ancora oggi) sfidare il cielo.

Appare evidente, quindi, che le critiche mosse da umanisti e illuministi al Medioevo fossero motivate più dal voler attaccare il ruolo della fede in quel periodo, che da ricerche storiche. Fenomeni che l’immaginario collettivo collega all’ignoranza e superstizione degli uomini medievali, come la caccia alle streghe e la servitù della gleba, furono prevalenti in epoche più recenti, quali il XVI e il XVII secolo e sono quindi da considerarsi falsi miti, non supportati da fonti storiografiche. Il Medioevo, poi, non fu solo un periodo di guerre e superstizione: se si accettasse questo, si farebbe il gioco di coloro che, tra il tardo XV e il XVIII secolo, si presero la libertà di sentirsi superiori a coloro che vissero nei mille anni precedenti.

Il cosiddetto “periodo buio”, in realtà, fu anche e soprattutto un’epoca di grandi valori quali eroismo e carità, di matematica e di opere architettoniche, letterarie e artistiche irraggiungibili. E, nonostante le Crociate, la Guerra dei Cent’anni, la Peste Nera e le continue invasioni, è impossibile cancellarne lo splendore. Sono i mille anni in cui nacque, seppur in modo molto embrionale, il concetto di Europa, prima con Carlo Magno e poi con Ottone il Grande. Gli anni durante i quali, specialmente in Inghilterra, Francia e Spagna, iniziò a svilupparsi una parvenza di identità nazionale. Gli anni che hanno visto sovrani come Alfredo il Grande e Federico II di Svevia; poeti come Dante e Chrétien de Troyes; le prime forme di autogoverno repubblicano nei Comuni italiani. Se poi ci si sofferma solo su quello che comunemente chiamiamo Basso Medioevo, salta all’occhio un’Europa che visse la sua massima espansione economica dell’era preindustriale, a partire dall’“invenzione” delle banche. E la lista potrebbe continuare.

Sarebbe però riduttivo incolpare solo umanisti o illuministi. Il fatto che ancora oggi falsità e pregiudizi sul passato siano ancora così radicati nella nostra cultura, e difficili da cancellare una volta per tutte, è determinato da qualcosa di tipicamente umano, più che storico: la necessità di relegare a un periodo distante e concluso nel passato i mali e le difficoltà della propria epoca. I problemi irrisolti che ci si porta dietro da secoli e che non si riesce a superare nel presente.

Jacopo Lupieri

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